Sneak attack! (M.T.M. barchino esplosivo IV serie – 1942) scala 1/35

La configurazione dei barchini esplosivi nacque nel 1936 dalla collaborazione fra i Cantieri Baglietto di Varazze (SV), già produttori degli scafi dei M.A.S., e la C.a.b.i. Cattaneo di Milano, le quali seppero soddisfare le esigenze della Regia Marina circa la progettazione e produzione di un mezzo di incursione tanto inavvertibile quanto scattante.

Dai primi M.T. (motoscafo turismo) si passò ai successivi M.T.M. (motoscafo turismo modificato) migliorati per quanto riguarda le doti di tenuta in mare e l’evoluzione del sistema pirico.
Poche delle azioni offensive portate con i barchini si conclusero con successo poiché le migliorie tecniche e l’esperienza degli equipaggi arrivarono in ritardo rispetto alle contromisure che gli alleati adottarono per proteggere i propri porti ed individuare tempestivamente le minacce.
Infatti i barchini erano stati concepiti solo per attaccare navi in rada e non in movimento.
Pertanto è possibile affermare che non erano indirizzati a colpire facendo quante più vittime possibili, bensì il loro scopo era quello di ridurne il potenziale bellico del nemico ed annullarne il vantaggio navale.
Tale compito venne svolto con maggior successo dai S.L.C. (siluri lenta corsa).
L’azione iniziava con l’avvicinamento notturno di una piccola flotta di barchini al porto prestabilito. La loro autonomia era di 3 ore. La speciale trasmissione a “Z” concepita dall’Ing. Guido Cattaneo permetteva di retrarre l’elica entro gli ingombri dello scafo consentendo al mezzo di oltrepassare agevolmente eventuali ostruzioni tipo reti di sbarramento.
Alle prime luci dell’alba, una volta individuata la nave obbiettivo, il pilota dava pieno gas al 6 cilindri Alfa Romeo che con i suoi 92CV di potenza permetteva di raggiungere rapidamente gli oltre 30 nodi di velocità. Indirizzata l’imbarcazione, bloccato il timone ed innescata la carica, l’operatore si metteva in salvo sganciando lo zatterino rigido che prima fungeva da schienale e si lasciava cadere in acqua dal castelletto di poppa.
Il barchino andava ad urtare l’obbiettivo con la prua dove una struttura tubolare detta “palmola” innescava la prima carica per spezzare in due il motoscafo e farlo affondare rapidamente.
Solo qui, a profondità pretarata, l’innesco idrostatico faceva esplodere la carica principale, costituita da un barile da 300kg di Tritolital (tritolo potenziato). Questo per creare il maggior danno possibile colpendo le navi sotto la carena dove solitamente erano meno corazzate.
Nel frattempo l’operatore avrebbe dovuto già raggiungere lo zatterino ed issarvisi sopra evitando di restar vittima dell’onda d’urto per poi finire probabilmente prigioniero.
Nel modello realizzato (M.T.M. 4a serie del 1942) si può invece vedere “il baffo della palmola” abbassato. Tale elemento, che differenziava gli M.T.M. dai primi M.T., comandava l’esplosione immediata della carica principale ad indicare che l’obbiettivo era creare un varco di accesso attraverso una ostruzione.
Oggi, in Italia, sono visibili almeno quattro barchini, dai più noti esposti al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, al Museo Tecnico Navale della M. M. di La Spezia ed al Regio Arsenale della M. M. di Venezia fino al meno conosciuto conservato presso il Museo Della Barca Lariana a Pianello del Lario (Como). Tali barchini però non sono identici ma differiscono in particolar modo per la disposizione dei comandi e la strumentazione nell’abitacolo. Questo probabilmente perché l’evolversi degli eventi bellici costrinse a spostare in più cantieri la produzione. A conferma di ciò sono stati recentemente trovati documenti presso il cantiere Cramar di Cadenabbia (Como).
La storia dei barchini esplosivi non si concluse con la fine della seconda guerra mondiale, nè tantomeno in Italia. Negli anni successivi alcuni barchini vennero venduti al neonato stato d’Israele ed alcuni veterani della nostra Xa Flottiglia Mas addestrarono giovani audaci, quali furono loro, nella allora costituenda 13a Flottiglia della Marina Israeliana.
Di particolare interesse il film “Siluri umani” del 1954 che, nonostante il chiaro adattamento cinematografico, ha pur sempre un importante valore documentaristico dato che venne girato solo un decennio dopo i fatti reali e che la produzione si avvalse della consulenza tecnica e storica dell’Ammiraglio Bragadin.
Utile e facilmente reperibile in rete anche il documentario “German and Italian sneak craft” dell’ottobre 1945 prodotto dall’O.S.S. statunitense.

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